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Il copywriter, professionista self-made

Superata la fase: “Copy che?!”. E superato anche il ricorso alle definizioni più svariate a seconda del tipo di interlocutore (nonostante l’indubbia utilità dell’esercizio), oramai l’occuparsi di copywriting e delle attività digitali connesse è diventato un mestiere a tutti gli effetti nell’opinione dei più.

Che cosa significa? Innanzitutto che se ne riconosce il ruolo, a livello di competenze stimabili nel mercato del lavoro anche dal punto di vista economico (pur rimanendo questo un aspetto assai critico soprattutto per i freelance). In secondo luogo significa che all’interno delle agenzie di comunicazione e delle stesse aziende si avverte l’importanza di adottare una scrittura e un tone of voice professionale da declinare sui diversi media. Esiste comunque l’eccezione di quelle piccole e medie imprese che non ne sentono ancora l’esigenza, spesso ignorandone i benefici, per ragioni considerate più o meno debitamente di natura economica o strutturale.

Credo che tra i principali motivi di questa persistente diffidenza ci sia la difficoltà di valutare le reali competenze del copywriter. Questo perché non esiste di fatto un percorso formativo specifico che avvii alla professione, ma solo manuali più o meno autorevoli da studiare e oggi anche qualche buon corso teorico-pratico. Si tratta tuttavia di strumenti che non possono di fatto sostituire le esperienze di briefing in azienda o i continui adattamenti del testo in base al settore e al mezzo comunicativo usato.

Esistono quindi i portfolio da sfogliare, i quali molto spesso non riescono comunque a sciogliere le perplessità, se non si è grado di cogliere la specificità propria del lavoro di copy su ogni singolo messaggio. Tutto ciò in un campo in cui l’efficacia del “prodotto” non è per di più concretamente misurabile e in cui le dinamiche digitali impongono ritmi veloci di pubblicazione, spesso anche a scapito dello spessore dei contenuti (basti pensare alla “volatilità” di un post sui social network).

Lungo il mio percorso ho potuto sperimentare approcci al copywriting molto differenti da parte delle agenzie stesse. Alcuni ritengono che “Se campi in libera professione, allora qualcosa vali”, mentre altri propongono “test di prova” per valutare quel che sai fare, come se si potesse chiamare un idraulico e fargli “provare” a sistemare un tubo, per poi dirgli magari a lavoro svolto che non interessa o non serve più.

Comprensibilmente una collaborazione in ambito copy non è affatto semplice e, anzi, per quanto mi riguarda richiede fin da subito una sintonia umana e professionale.

Comunicare si basa infatti su valori condivisi e visioni differenti rischiano di non rendere coerente il messaggio. Il confronto resta comunque positivo, ma deve pur sempre basarsi sulla fiducia e sullo scambio volontario delle reciproche competenze.

È fondamentale inoltre partire dalla gavetta, traducibile oggi con gli stage in agenzia o con la stesura ad esempio di blog post che possano aiutare le aziende a comprendere l’approccio alla scrittura e gli argomenti che appassionano di più.

Per citare Annamaria Testa: «Si tratta, infine, di un’attività di scrittura che si coltiva con l’apprendistato, e la cui qualità si codifica molto più su numerosi repertori di buone pratiche […] che sulle, peraltro scarse, teorizzazioni disponibili» (da “Qualche nota sul mestiere di copywriter”).

No, saper scrivere non basta

Una volta il marketing manager di un’azienda mi chiese: “Come si diventa copywriter?”. Spontaneamente risposi: «Con la sensibilità», intendendo la capacità di cogliere, comprendere e interpretare gli elementi rilevanti in un progetto di comunicazione per tradurli infine in un testo che funzioni. Tutt’ora credo sia questa la chiave per aprirsi alla conoscenza e all’approfondimento di una materia di fatto senza schemi di riferimento, per lo meno nella sua definizione più classica e creativa.

Le porte da aprire, facendo leva su questa attitudine, sono parecchie: non solo serve sensibilità per la lingua, le diverse forme e mezzi di espressione; ma anche per i fenomeni sociali attuali e i possibili scenari futuri, per le persone e le loro storie uniche.

Quali sono quindi le abilità che caratterizzano la professione del copy? Innanzitutto quelle apprese con percorsi formativi specialistici ed esercitate sul campo.

  • La padronanza della lingua e i suoi livelli di articolazione: fonetica, morfosintassi, lessico e semantica. Il che significa saper scrivere correttamente, iniziando dall’ortografia e dalla punteggiatura. Significa aver maturato un vocabolario ampio per saper scegliere le parole più adatte all’espressione del concetto e conoscere il modo in cui si formano le parole: solo destrutturando si può ricomporre in maniera innovativa.
  • La padronanza dei criteri di costruzione testuale. Ogni frase, ogni post, ogni pay off (o, per spingersi ancora oltre con la linguistica del testo, ogni messaggio distinguibile come un’unità dotata di funzioni comunicative) rappresenta un sistema testuale con una specifica architettura. «La prosa è architettura, non decorazione di interni», scriveva Hemingway. Deve pertanto soddisfare alcuni requisiti fondamentali, come la coesione in termini linguistici e la coerenza in termini logico-concettuali.
  • La conoscenza di tecniche di scrittura efficace e persuasiva. Definiti gli obiettivi e il pubblico cui rivolgere il messaggio, occorre strutturare un testo il più possibile chiaro e lineare, in grado di captare e stimolare l’interesse. Vanno curate la scelta delle parole e la costruzione della frase (preferendo ad esempio le forme verbali attive e gli iponimi, limitando le negazioni e disponendo inoltre le parole secondo l’ordine più adatto alla funzione del messaggio). Sul web è necessario un uso corretto degli stili del carattere (grassetto, sottolineato e corsivo), titoli, elenchi e spazi vuoti per facilitare la lettura e mantenere alta l’attenzione. Chi scrive per professione sa inoltre formulare “architetture” del testo diverse (su questo punto è utile la lettura del relativo capitolo in “Lavoro, dunque scrivo” di Luisa Carrada), o quando applicare tecniche come il questioning, per instaurare una relazione con il lettore, e il teaser, che rivela dettagli senza svelare del tutto l’argomento, suscitando curiosità.
  • La capacità di editing e correzione di bozze. Dopo ogni pianificazione e redazione del testo è fondamentale procedere alla fase di revisione e, se necessario, alla riscrittura di una o più parti. Un lavoro che coinvolge il piano linguistico (eliminazione delle ripetizioni, modifica della sintassi più ostica e dell’ordine delle parole), la coerenza e l’organizzazione dei contenuti (passaggi fluidi tra i periodi, inserimento di informazioni mancanti), il miglioramento dello stile (togliendo e semplificando le ridondanze, trovando le parole più idonee al contesto, rendendo il testo più scorrevole), il controllo della formattazione e dell’aspetto visivo.
  • La dimestichezza con il linguaggio del marketing, le tecniche di grafica, web design e comunicazione multimediale audio-video. Del resto, il copywriting non è un tipo di scrittura “indipendente”, ma convive con la parte visiva e uditiva del messaggio. Per progettare un testo efficace, occorre quindi saper interpretare un documento di brief, avere coscienza dell’impaginazione e del modo in cui si sviluppano uno shooting o le riprese di un video corporate.

Inoltre in ottica di una sempre più evidente “evoluzione digitale” del copywriter, chi desidera crescere in quest’ambito deve ragionevolmente possedere una buona conoscenza degli strumenti di comunicazione sul web, che comprenda:

  • le caratteristiche e modalità di gestione dei social network;
  • i principali sistemi di pubblicazione dei contenuti (CMS);
  • le dinamiche SEO e dell’inbound marketing;
  • il linguaggio HTML di base.

Ricerca, sintesi, organizzazione, versatilità

No, non si tratta solo di scrivere. Entrando nel campo delle soft skills, per occuparsi di copywriting sono decisive:

  • la curiosità e capacità di ascolto;
  • la passione per la lettura e l’apprendimento di diversi linguaggi;
  • la capacità di reperimento, selezione e sintesi delle informazioni;
  • l’empatia e la capacità di lavorare in team (alternata all’autonomia organizzativa soprattutto per i freelance);
  • la precisione e l’amore per il dettaglio;
  • la capacità di gestione del tempo;
  • la flessibilità e adattabilità a diversi contesti e argomenti.

Fuori e dentro le righe

A questo punto diventa naturale chiedersi quanto spazio resti alla creatività del copywriter, se e fino a che punto la sua scrittura possa considerarsi un atto libero e spontaneo.

Ecco la risposta (condivisibile) che dà Annamaria Testa nell’articolo sopra citato:

« […] Ogni copywriter si trova a dover gestire una densità di prescrizioni per singola parola prodotta che non ha uguali in natura. […] La libera creatività del copywriter è un’utopia. La scommessa creativa forse sta, invece, proprio nel prendere in considerazione i vincoli stretti del brief, e perfino quelli stretti e arbitrari di un brief discutibile, portandoli però fino alle estreme conseguenze. Restituendogli, con qualche tipo di forzatura paradossale e grazie a una netta scelta di stile, un senso. Un senso narrativo, almeno. Dicendo in modo sorprendente, fresco, preciso, sintetico, emotivamente denso (e, se serve, piacevolmente vellutato) quanto molte pagine di lambiccati dettagli e di affermazioni non sempre congruenti le une con le altre fanno fatica a comunicare. Mica male, quando ci si riesce. Fantastico, quando qualcuno capisce che ci si è riusciti».

 

Articolo pubblicato su LinkedIn Pulse.