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«Pensare come un copy, ma agire in modo sempre più digitale».

Sono le parole con cui Diego Fontana, nel suo libro “Digital Copywriter”, descrive la nuova figura professionale che ogni giorno articola contenuti per i mezzi di comunicazione aziendale. In poco più di un secolo, dalla rivoluzione industriale in poi, il messaggio pubblicitario ha subito in effetti consistenti trasformazioni, di forma e di concetto, adeguandosi di volta in volta alle evoluzioni del sistema economico e degli strumenti comunicativi.

Il copywriter creativo: l’idea, la sintesi, il messaggio.

In principio era l’advertising, ossia la pubblicità tabellare diffusa sui mass media tradizionali e offline. Una comunione perfetta di testo e immagine pensata per generare una buona immagine di marca e con il compito in un primo tempo di presentare i prodotti in maniera attraente, in seguito di coinvolgere emotivamente il consumatore con storie originali. Spot e pagine sulle riviste intercettano i bisogni stuzzicando la massa dotata di potere d’acquisto: è una relazione di tipo “uno a molti”, che cerca di conquistare il pubblico di riferimento con i linguaggi (e le relative funzioni) di volta in volta in grado di tradurre al meglio i desideri e i valori della collettività.

La figura del copywriter è ancora legata al contesto dell’agenzia pubblicitaria, il luogo in cui la sua idea incontra le abilità grafiche di un altro creativo: l’art director. Questi due professionisti svolgono un lavoro di concetto, declinando l’idea in una proposta (spesso preceduta da innumerevoli proposte scartate) che fonde titoli e slogan con foto e immagini. In tale processo la scrittura deve esprimere in estrema sintesi un mondo sommerso di significati, in grado di indurre una risposta del destinatario individuato.

Il camaleonte digitale.

Arrivano poi gli anni ’90. L’avvento di Internet e degli strumenti di comunicazione digitale moltiplicano sia la produzione, sia la fruizione dei testi in forma scritta, mentre allo stesso tempo li disgregano e disseminano. Ecco come Luisa Carrada nel suo libro “Lavoro, dunque scrivo!” riassume le nuove dimensioni del testo professionale ai giorni nostri:

  • gli strumenti di comunicazione scritta sono diventati tanti ma tanti di più;
  • siamo diventati tutti un po’ scrittori ed editor;
  • il testo si è frammentato, ovunque;
  • i testi se ne vanno da soli in giro per il mondo (e continuano a vivere);
  • cambiano i luoghi e le condizioni della lettura;
  • il testo vive con le immagini, diventa esso stesso immagine.

Insomma, nell’eclettismo di forme, mezzi e momenti testuali, anche la figura del copywriter non è più la stessa. Ne è sintomo il proliferare di qualifiche spesso fin troppo pompose che, attingendo dagli innumerevoli anglicismi e acronimi del marketing (ma spingendosi anche oltre), identificano i redattori di testi per la comunicazione sul web: blogger, social media manager, content specialist, storyteller, SEO copywriter.

La scrittura oggi è un processo di metamorfosi continua, che riempie battuta dopo battuta i box di testo nelle pagine dei siti, le email interne ed esterne all’azienda, i post sui canali social, title e meta description nei risultati delle query di ricerca (tutti termini qui usati volontariamente). Un elemento indispensabile quindi per gli altrettanto indispensabili “contenuti”, ossia tutto ciò che viene pubblicato online per creare e dar valore alla propria presenza nel mondo digital.

Content is king” è ormai un assunto per chiunque si occupi di comunicazione: nell’ambito di una strategia di marketing offrire informazioni testuali e oggetti multimediali coinvolgenti serve a costruire una relazione di tipo “uno a uno” con il proprio pubblico, basata su fiducia e credibilità, in grado di convertire un lettore curioso in un acquirente e magari in un appassionato, come spiegano bene Handly e Chapman, autori del libro “Content Marketing”.

Occorre aggiungere che in questo scenario continuano a lavorare i creativi d’agenzia, anche se sempre meno specializzati sul buon caro advertising. I nuovi mezzi di comunicazione non hanno soppiantato, ma piuttosto aggiunto nuove possibilità rispetto ai media tradizionali. Tutto ciò impone quindi una riflessione: esiste un copywriter-camaleonte o esistono diversi specialisti per le diverse sfaccettature della scrittura professionale? O meglio: gli autori di contenuti per il web sono da considerarsi copywriter o nuove figure di scrittori digitali?

Copy o non copy… That is the question.

Su questa questione esiste in realtà parecchia confusione. Nel libro citato appena sopra, Handly e Chapman affermano ad esempio che i contenuti vanno distinti dal copywriting: «Il copywriting consiste nel nell’usare le parole per promuovere tramite la pubblicità, i materiali di sales collateral o altri messaggi di marketing». Ma un e-book scaricabile da un visitatore come approfondimento a un articolo sul blog e che faccia riferimento, anche in maniera implicita, ai servizi o prodotti della stessa organizzazione che l’ha pubblicato, è da considerarsi contenuto o materiale di sales collateral? Lo stesso vale per brochure digitali, video esplicativi magari dei vantaggi per l’utente, attività di direct mailing e presentazione di casi studio nel proprio sito.

E mentre c’è ancora chi ammonisce a distinguere tra copywriter e content writer – il creativo di formazione pubblicitaria che estrae dal cilindro le (poche) parole magiche e quindi il sentiment giusto per vendere versus il redattore di impronta più giornalistica che sforna grandi quantità di testi (meglio se ottimizzati per i motori di ricerca) con l’intento di offrire contenuti di qualità –, fortunatamente l’opinione ad oggi prevalente è che il confine tra le due figure sia sempre più “liquido”: proprio perché le regole della comunicazione sono cambiate, un copywriter non può più prescindere dal content marketing, e viceversa il content writer non può essere all’oscuro degli obiettivi del marketing, ignorando il mood della voce aziendale.

In “Digital Copywriter” Diego Fontana compie un ulteriore e condivisibile passo in avanti, affermando la necessità di uno scambio interdisciplinare, perché «possa un giorno emergere un nuovo modello di professionista, più stabile e meno in balia degli eventi: un creativo che possa unire in sé il meglio di tutti gli approcci». Infatti: «In un contesto disgregato e caratterizzato da una certa incapacità di comunicare tra professionisti, il rischio già molto concreto è che i copywriter si trovino sempre più impossibilitati a fornire un apporto significativo in termini di qualità del pensiero e diventino meri redattori di testo. Mai come oggi è fondamentale aprire un dialogo per ricucire la frattura tra professionisti on e offline».

 SEO copywriter: contraddizione o necessità?

Questo nuovo professionista pensa dunque come un copy, pur agendo nel digitale. Ciò significa che è in grado di stabilire un contatto con le persone, di emozionarle basandosi su un sistema di valori condiviso, e non semplicemente di elencare una serie di informazioni e consigli. Mentre sempre più spesso si ricorre al copy alla fine della catena di produzione di un contenuto, ad esempio per trovare una voce che dia linearità a un video corporate già realizzato, il digital copywriter agisce a monte, contribuendo alla fase ideativa del progetto per definire nuove architetture di contenuti che siano efficaci per il pubblico.

Una figura quindi che non può essere una mera esecutrice di modelli, come quelli imposti dalla SEO: la comunicazione è uno scambio tra esseri umani e l’esigenza di comparire in prima posizione sulla SERP non può prevalere sui bisogni del proprio pubblico. Come non concordare quindi con quanto dice Annamaria Testa nell’articolo “Scrivere per il web”, un po’ datato ma sempre valido: «Ho la sensazione che, se impressionati dalla complessa estensione del web, rinunciamo nella scrittura alla responsabilità, al rischio e all’incertezza del forzare le regole, affidiamo il cambiamento solo ai criteri mainstream espressi della tecnologia. Però, se facciamo questa scelta, tanto vale lasciare che a scrivere siano direttamente le macchine, e buonanotte».

A un primo impatto la qualifica di SEO copywriter potrebbe perciò sembrare scorretta, se non altro perché il copy è associato da sempre al visual. Ma che dire allora delle didascalie indicizzate di foto e immagini?

La fluida contaminazione favorita dall’era digitale non è fatta per le barriere, ma occorre piuttosto creare una cultura condivisa in grado di rendere più consapevoli tutti gli operatori del settore (agenzie, freelance, aziende) riguardo ai diversi ruoli e competenze in atto. Per fare il copy non è necessario conoscere la SEO e per scrivere in ottica SEO non serve essere un copy. Ciò non vuol dire che per studio, esperienza e inclinazione non possano esistere bravi scrittori di contenuti ottimizzati che traducano adeguatamente anche gli obiettivi del marketing, stimolando una reazione nel consumatore.

 

Articolo pubblicato su LinkedIn Pulse.