Eccola, la vis della parola “violento”: sta tutta lì, confinata in poche lettere distinte, pronte a esplodere in un eccesso di forza.
Una forza cui non è possibile opporre resistenza, ma cui la resistenza si fa totale.
“ […] vïolenza è quando quel che pate / nïente conferisce a quel che sforza […]”
(Dante, Par. IV).
Eccola, la negazione dell’altrui volontà. Ecco la manifestazione dell’assenza del libero arbitrio. La prevaricazione. L’imposizione.
Che sia fisica, o psicologica. Che sia in famiglia, sul lavoro, in un luogo sconosciuto, nel testo di una notizia, in un’immagine postata.
Che la chiamino bullismo, mobbing, stalking, molestia sessuale.
Quando c’è violenza, non c’è capacità di respèctus, di “riguardare”, di volgersi indietro per riconoscere il valore altrui, mettendosi talvolta in discussione.
Tanto meno la violenza può coesistere all’amore, che è desiderio di “colmare” l’assenza, l’altrui mancanza. Non di crearla.
Perciò la violenza è di colore nero, mai rosso. Né altro.
La violenza è un non-colore. È l’assenza di luce.